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Non che ne abbia fatti molti, ma come viaggio di gruppo credo si sia rivelato abbastanza anomalo. Mi piace osservare e capire le dinamiche interne ai gruppi ed in questo senso un viaggio di gruppo è fantastico.
Durante l’Università tra gli esami che mi interessarono maggiormente c’erano quelli di psicologia sociale. Ricordo bene gli studi di Kurt Lewin che è considerato il padre della psicologia dei gruppi.

La composizione del viaggio di gruppo
Il clima fu abbastanza giocoso e presto mi ritagliai il ruolo di quello che scherza e fa battute. Eravamo tutti consapevoli di quello che ci sarebbe toccato, soprattutto per i disagi inevitabili per cui nessuno batté ciglio. Anche chi era alla prima esperienza di quel tipo o anche alla prima di campeggio in tenda.
Diversi sostenevano di non avere amicizie o conoscenze che avrebbero fatto un’esperienza simile, ben lontana dagli standard dell’italiano medio. Forse fu anche la composizione del gruppo che lo rese più sereno.
Infatti, cosa piuttosto insolita, tra i 16 partecipanti c’erano ben 5 coppie, di cui addirittura 2 di lesbiche. E dei restanti, 4 avevano rapporti più o meno definiti con qualcuno a casa. Gli unici single autentici eravamo io e quello che fu un ottimo compagno di stanza/tenda. Questo evitò pesanti situazioni del genere di quello sempre a caccia che ci prova per 2 settimane con una, condizionando ogni cosa per questo

Altro segnale di compatibilità generica era che a differenza di quanto mi capita spesso, non ero considerato strano perché avevo un libro con me. Anzi, non ero l’unico! Molti avevano avuto esperienze di viaggio simili alle mie e la maggioranza dei discorsi verteva in confronti su viaggi passati e futuri.
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Dinamiche in un viaggio di gruppo
Un viaggio organizzato comporta tutta una serie di dinamiche, sia di tipo relazionale, ma anche organizzativo.
Al termine di una settimana dove ritmi e tempi erano per forza indicati dall’organizzazione generale (durante il safari nemmeno si poteva uscire dalle jeep per fare pipì), e dove tutto filò liscio, nella seconda parte del viaggio cominciarono i problemi.

A Zanzibar c’era molto più spazio per dire la propria. Siccome tutto era andato bene nella prima settimana ci venne cercare di restare assieme. Ma le discussioni vennero fuori per esempio su chi voleva mangiare italiano o chi locale. Tra chi voleva passeggiare e chi stare al sole.
Sono uno che si adatta e seppur un po’ infastidito, sopportai la cosa. Un pesce alla griglia lo si rimediava sempre. Però mi sentivo meno compatibile con chi ordinava la carbonara.
Questioni di principio o di spicci?
Ben più difficile fu mandare giù certe questioni che vennero etichettate come di principio, mentre per me sono altro.
Era capitato di osservare come tra i Tanzaniani, tra i non fortunati che non vivono di turismo ci sono persone estremamente povere. Al di là del dire poverini, credo che noi occidentali ricchi, quando siamo in certi posti, abbiamo l’occasione di fare qualcosa di buono. Non tanto regalare le caramelle ai bambini (che poi gli vengono le carie e non hanno i dentisti). Quanto per contribuire in qualche modo all’economia, senza fare quindi l’elemosina.

Venne fuori una gran discussione quando dovemmo decidere l’entità della mancia da dare ai nostri driver e allo staff che ci aveva dato da mangiare e sistemato le tende durante il safari. Per qualcuno la mancia doveva essere minima perché ad esempio non c’erano state certe accortezze.
Per esempio un telo copri zaini per limitare la polvere – di cui eravamo comunque strapieni. Secondo questi, non dare la mancia attesa, sarebbe stato un insegnamento per la prossima volta che avrebbe agevolato un altro gruppo. Faccio presente che la cifra sarebbe stata di 3-4 euro a testa.

Di mia iniziativa, senza nemmeno dirlo agli altri della mia jeep, diedi 20 euro al nostro driver. Prima di fare certi viaggi bisognerebbe sapere meglio del costo della vita del paese che si va a visitare, al di là di quello che paghiamo noi turisti. A tal proposito trovo molto interessante questo sito.
Perché scegliere un viaggio organizzato
La scelta di fare questa esperienza con un viaggio organizzato, seppure con un’ agenzia che viaggia in maniera più avventurosa, nonostante non sia nelle mie corde, fu soprattutto per questioni di soldi.
Pur non essendo stato assolutamente un viaggio economico, farlo in solitaria, ma anche in coppia, sarebbe stato molto più costoso dato che l’ingresso nei parchi si paga per auto e che noi avevamo un cuoco comune. Nei campeggi non c’è un servizio di cucina.

Sarebbe stato possibile teoricamente anche gestirsi in autonomia per il cibo. Ma tutta l’attività, compreso il montaggio e lo smontaggio delle tende (da fare con le torce elettriche) avrebbe portato via molto tempo al safari vero e proprio. Incontrai anche una coppia che aveva noleggiato un mezzo e che giravano da soli.

Ma senza considerare gli eventuali contrattempi e le situazioni di pericolo, avere dei professionisti alla guida che conoscevano l’ambiente e che soprattutto sono collegati tra loro a decine, garantisce la possibilità di avvistare molto più animali. Noi ne vedemmo tantissimi. Forse fummo particolarmente fortunati, ma girare da inesperti in quegli spazi sterminati può anche portarti a non vedere anima viva per chilometri e chilometri.
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